Questo è un titolo nel comparto konnector
Il testo che segue è la sbobinatura fornitaci dal regista Stefano Barabino (che ringraziamo molto) di un intervento di Franco Piperno alla presentazione del libro di Oreste Scalzone ’77, e poi… tenutasi a Sparanise (Caserta) il 14 maggio 2017.

Partirei dall’etimologia della parola Populismo. Penso che sia importante difendere il significato delle parole, nel senso, per farvi un esempio, che quando uno dice cha la Corea del nord è «comunista», vuol dire che si è perduto profondamente qualcosa. La questione è tanto più grave nel caso in cui in Italia, in Francia o in Germania, la parola «populismo» viene usata a indicare una malpratica, in qualche maniera, della demagogia, della falsificazione del reale e così via. Ma «populismo» ha una sua storia che non centra niente con la demagogia. Populismo è un movimento importante, in Russia, che ha significato un mutamento perfino nel modo in cui Marx esaminava il capitale, cioè, il Marx maturo, quello diciamo dopo il ’75 (muore nell’83) è molto influenzato dalla conoscenza (lo fu anche Engels) del populismo russo. Quando Daniel’son, che era un populista, va a Londra per tradurre «Il Capitale», quello che accade è che Marx ha informazioni di prima mano su questo movimento dei contadini russi, un movimento che esisteva già prima della «liberazione dal selvaggio», prima dello Zar Alessandro, ed era un movimento che non faceva manifestazioni di protesta, era piuttosto concentrato sulla conduzione del villaggio, che in russo viene indicata con una parola che aveva più significati: vuol dire villaggio, vuol dire mondo e vuol dire pace, è polisemico. I contadini russi si erano da secoli organizzati attorno all’obščina per distribuirsi il lavoro sulle terre e anche per far fronte a tutti i problemi dell’autonomia del villaggio russo e i populisti russi, che sono spesso degli intellettuali di origine borghese, quando dicono che è possibile cambiare la Russia senza passare attraverso il capitalismo, fanno questo discorso perché hanno in mente un soggetto che già esiste, non un soggetto che devono creare i militanti rivoluzionari perché, se il soggetto lo creano i militanti rivoluzionari, sarà sempre un soggetto politico nel senso deteriore del termine (politico tra l’altro è uno di quei termini che andrebbero salvati poiché originariamente indica l’autogoverno della città, poi è passato a significare quello che fa Trump che, in realtà, mentre ha molto a che fare col dominio, con la politica non ha niente a che fare). Però, per non rischiare di perdermi negli incisi, volevo dire che il populismo ha significato per Marx il superamento di una concezione lineare della rivoluzione, per cui c’era il feudalesimo poi il capitalismo e, solo perché c’era stato il capitalismo, era possibile il sorgere del socialismo mentre Daniel’son e gli altri populisti indicano la possibilità di saltare la fase capitalista e passare dalle relazioni, dal modo di produzione feudale, a quello di tipo socialista. Naturalmente, io non sto sostenendo che la storia abbia dato ragione ai populisti, sto solo dicendo che i populisti sono stati un grande movimento in cui viene presentata come elemento importante l’esigenza di un soggetto che è già là, e che deve prendere solo coscienza del suo essere e riuscire a realizzare una società diversa. Quindi questi populisti vanno nei villaggi, diventa importante che i contadini siano coscienti che quella cosa che hanno inventato, che hanno inventato in realtà i loro nonni, i loro bisnonni, quella cosa lì è una cosa d’estrema attualità.
È un po’ come succede ancora oggi. Pensate alle città italiane. Le città italiane non sono città inventate come quelle dell’America, sono un’esperienza secolare che per certi periodi, per dei secoli addirittura, ha avuto la forma dell’autogoverno. Allora, questo discorso sul populismo è come rivolto, anche, a riappropriarsi delle parole. Il comunismo, per esempio, non vuol dire un partito comunista, questa è già un’aberrazione del linguaggio politico. Comunismo è una relazione umana che non centra niente con l’esistenza di un partito comunista, oppure, tanto più, di uno Stato comunista che è una contraddizione in termini. Naturalmente questo equivoco è stato creato dai movimenti socialisti o, se volete, comunisti del secolo precedente, dall’idea che è stata un’invariante dell’attività politica dei socialisti, secondo la quale si doveva procedere attraverso l’intervento dello Stato, mentre i populisti dicono che il soviet è già in grado di governare e, notate, che questo vorrà dire che i soviet – che sono una creazione di questi contadini diventati operai, quindi la creazione della prima fase della lotta in Russia, così come, del resto, è successo anche nei Consigli di fabbrica a Torino dopo la Prima guerra mondiale – sono dei contadini che, entrando nel meccanismo capitalistico, hanno ancora un ricordo di una forma di vita differente, perché il lavoro nei campi è un lavoro duro, però, il tempo se lo dà il contadino; in fabbrica il tempo è assolutamente estraneo all’operaio, viene indicato da fuori.
Questa dimensione della temporalità è assolutamente importante per capire cosa vuol dire l’esperienza comunista. Quindi, vorrei sottolineare che il comunismo, frammenti di comunismo, esistono già nelle nostre vite. Quando voi fate, per esempio, un regalo a un vostro amico, e quello vi fa un altro regalo, in genere, salvo casi aberranti, non state lì a guardare se il costo di questi regali è equivalente, perché voi cercate di dare qualcosa che soddisfi il desiderio, poi magari non ci riuscite ma, come atteggiamento, come emozione sentimentale, voi cercate di dare qualcosa che immaginate che il vostro amico desideri, non di dargli qualcosa che costa come il regalo che vi è stato fatto. Quindi il comunismo torna, come nelle parole di Marx, a essere uno scambio che si realizza dando a ciascuno secondo i suoi desideri e prendendo da ciascuno secondo le sue capacità. Qualcosa di nettamente diverso dall’eguaglianza borghese.
La crisi mondiale della rappresentanza che stiamo vivendo è legata al mercato unificato, e al fatto che i capitalisti non hanno più un mercato esterno su cui svilupparsi, come aveva già previsto la Luxemburg. La chiusura del mercato comporterà inevitabilmente una diminuzione della crescita. È vero però che i capitalisti hanno trovato la via dell’innovazione continua, pensate al computer o al telefonino, quando si inventa una merce nuova anche il mercato domestico appare come un mercato vergine. E questo si riflette anche nella nostra psicologia, anche nella nostra vita, nel senso di rincorrere il nuovo, non il meglio, ma il nuovo. Il nuovo in quanto tale ha un suo fascino, e quindi ciò comporta, anche, una società che si annoia, una società che non guarda mai il cielo, non sa manco che ci sono ancora delle stelle in cielo. È in realtà una società che si annoia profondamente. Il vostro malessere non deriva dal fatto che non avete un posto di lavoro sicuro per tutta la vita, perché gli operai della Fiat degli anni Sessanta e Settanta, assunti per la vita, non festeggiavano moltissimo quella condizione. Cioè, l’idea di fare un solo lavoro per tutta la vita è aberrante. Pensate, la disoccupazione giovanile è alta ma, come vuole la dialettica, questa è anche un’occasione straordinaria di vivere in un altro modo, cioè, se c’è tutto questo tempo libero perché, anziché grattarsi al bar, non viene adoperato per realizzare delle esperienze che sono relative a ciò che ci piace, all’attività che ci interessa? Io ho lavorato gran parte della mia vita nell’università e ho notato che quando gli studenti, per esempio in fisica, sono impegnati in un problema e riescono a risolverlo, in genere la loro gratificazione si manifesta con un sorriso. Jung diceva che il cittadino deve riuscire a guardare il cielo e a orientarsi. Orientarsi è un’operazione generalmente umana, noi siamo degli animali che si orientano perché siamo degli animali sociali, ma che si muovono, cioè vanno da una parte all’altra, come fanno i branchi di lupi, come fanno le api. Per noi l’orientamento è un elemento animale fondamentale e, quindi, sottolineava Jung, riconoscere una costellazione in cielo comporta un tipo di gratificazione che è completamente diversa da quella che vien fuori dall’aumento dello stipendio, non perché io sia contro l’aumento dello stipendio, ma per dire che sono possibili delle altre esperienze.
Pensate al rapporto in genere con la natura o con gli altri animali. Marx diceva che il comunismo è la condizione dell’individuo sociale, l’individuo sociale si dà quando ha una coscienza enorme, e aggiungeva che la coscienza enorme è la coscienza della specie, che noi diremmo genere, perché lui usa la parola in un modo inverso. Cioè, quando gli esseri umani si rendono conto di appartenere a una specie, non a un partito, e questa coscienza entra nelle loro vite le trasforma completamente.
Vi voglio fare un esempio: la «morte». La morte è sentimentalmente una delle cose più scandalose a cui è confrontato l’individuo, non la sua, perché, quando arriva la morte lui non c’è (l’individuo può avere paura della sua morte ma non è la sua morte il punto), invece, la morte è uno scandalo per l’individuo perché è una perdita irreversibile e, quindi, dal punto di vista dell’individuo è una cosa, se possibile, da eliminare. Dal punto di vista della specie, invece, la morte è assolutamente uno strumento importantissimo per permettere l’adattamento al mondo, all’ambiente così com’è. Solo attraverso la morte è possibile avere nuovi individui con codici genetici mescolati e con il fatto che continuamente viene rinnovata questa presenza della specie nel mondo. Quind il comunismo è piuttosto questa capacità di vivere secondo delle regole che non sono legate allo scambio di equivalenti, e secondo una capacità di capire il mondo e la natura, e di sentire che tra noi e la vita degli animali e delle piante c’è una continuità. Queste cose le possiamo fare senza aspettare che Renzi torni a fare il presidente del consiglio o che pure Fassina diventi ministro dell’interno.
Queste cose, secondo me, le possiamo fare se abbandoniamo l’idea di presentarci, prima o poi, alle elezioni, non perché non bisogna partecipare alle elezioni, ma perché partecipare alle elezioni è una cosa minimale, non è l’attività centrale. L’attività centrale è quella di costruire comunità, per esempio di costruire dei comitati di quartiere dove la decisione viene presa dall’assemblea del quartiere. Naturalmente, magari, solo su alcune decisioni importanti: non è possibile naturalmente tenere le persone in assemblea ma quest’esperienza, per esempio per quel poco che si è realizzato in Brasile prima che Lula scoprisse l’eterno ritorno del politico, l’esperienza di partecipare e di decidere è un’esperienza che noi possiamo fare da subito. E, attraverso una sorta di federazione tra tutte queste comunità o città federate, possiamo avere una prospettiva diversa che quella di vincere le elezioni, di avere uno Stato. Uno stato socialista poi è una disgrazia ancora peggiore dello Stato che c’è, perché in genere tutta l’attività viene rimandata alle decisioni dello Stato. Come si vedeva in Unione Sovietica o a Cuba dove, magari, si realizzavano alcune cose importanti sul piano della sanità o dell’occupazione, ma che aveva come costo l’assoluta passività dell’individuo, mentre la cosa più importante, ripeto, di noi che siamo animali sociali, è la cooperazione, il coordinamento, perché lì, anche quando si sbaglia, si ha la capacità di tornare indietro. Notate che questa è una cosa completamente diversa della democrazia attraverso la rete. Nella democrazia attraverso la rete risuona il «sondaggio». La discussione invece implica la presenza dei corpi, perché non è solo quello che si dice, ma anche il gesto della mano che accompagna quello che si dice, o gli occhi di quello che sta parlando e che si comporta in maniera diversa; se è a casa sua col computer è pronto a dire qualsiasi cazzata. Se voi chiedete: «Vuoi l’eliminazione delle tasse?» il 95% delle persone risponderanno sì, ma questo è totalmente irresponsabile; l’assemblea, la presenza dei corpi dà invece luogo a un cittadino che è consapevole, proprio perché poi decide.